Lamberto Maffei è nato a Grosseto il 21 marzo 1936.
Si è laureato in Medicina, con il massimo dei voti e la lode, nel 1961, presso l’Università degli Studi di Pisa.
Ha studiato sotto la guida del prof. Giuseppe Moruzzi ed ha cominciato con lui i suoi studi sul sistema nervoso centrale.
Nel 1964 è divenuto assistente presso l’Istituto di Fisiologia dell’Università di Pisa, poi Ricercatore e Direttore di Ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche presso l’Istituto di Neurofisiologia, dove ha condotto gran parte delle sue ricerche.
Al momento attuale è professore di neurobiologia presso la Scuola Normale Superiore ed è direttore dell’Istituto di Neurofisiologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa.
Il prof. Lamberto Maffei ha passato molti periodi di tempo all’estero, sia per insegnamento che per ricerca scientifica.
Ha al suo attivo oltre 280 pubblicazioni scientifiche, delle quali la grande maggioranza su giornali internazionali, tra questi alcuni di grande divulgazione, come Nature (5 pubblicazioni), Science (10 pubblicazioni) e Scientific American (1 pubblicazione), oltre a molte review.
Lamberto Maffei è stato direttore dell’Istituto Neurofisiologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa dal 1980 al 2001 e direttore dell’Istituto di Neuroscienze del CNR fino alla fine del 2008; attualmente è Presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei e membro del Comitato di Neuroscienze del Ministero della Ricerca Scientifica e Tecnologica e dell’Istituto Europeo per la Paraplegia.
Riassunto attività scientifica
La ricerca del prof. Lamberto Maffei si è sempre incentrata sullo studio del sistema visivo, sia a livello delle cellule della retina che dei neuroni del talamo e della corteccia cerebrale, sia nell’uomo che negli animali da laboratorio, applicando nell’uomo i metodi psicofisici e le tecniche dei potenziali evocati visivi, mentre, negli animali da laboratorio, egli ha usato tecniche di elettrofisiologia cellulare (in particolare la registrazione di singole unità cellulari della retina o dal corpo genicolato laterale e la corteccia visiva) e, più recentemente, facendo uso dei moderni metodi istochimici, neurochimici e della biologia molecolare.
La maggior parte del lavoro di ricerca scientifica del prof. Lamberto Maffei si è svolta a Pisa, presso l’istituto di Neurofisiologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ma alcuni importanti esperimenti sono stati portati a termine all’estero, come a Cambridge (Inghilterra), presso il “Craik Laboratory of Sensory Physiology”, oppure a Cambridge, Massachusetts (U.S.A.) al Massachusetts Institute of Technology (MIT), a Parigi (Francia) presso il Collège de France, o a Davis, California (U.S.A.) al Dipartimento di Psicologia ed, infine, a Oxford (Inghilterra), in collaborazione con il prof. Hugh Perry.4
Una prima linea di ricerca condotta dal prof. Lamberto Maffei ha riguardato lo studio dei fenomeni percettivi visivi nell’uomo e i corrispondenti meccanismi fisiologici nell’animale. Il gruppo del prof. Lamberto Maffei è stato un pioniere nel tentativo di correlare la percezione visiva con l’attività elettrica dei neuroni coinvolti nella visione.
Tutti questi esperimenti hanno permesso di proporre una nuova teoria della visione, secondo cui l’informazione sullo spazio visivo è prima analizzata nelle sue componenti armoniche, successivamente codificata, e quindi ri-sintetizzata nel cervello. Queste ricerche sono state riportate in alcuni articoli apparsi su Scientific American, 1974, in collaborazione con F.W. Campbell e in un libro della Casa Editrice Mondadori, scritto in collaborazione con Luciano Mecacci, dal titolo La Visione: dalla Neurofisiologia alla Psicologia, uscito nel 1979.
Una seconda serie di esperimenti si è proposta di studiare il contributo delle diverse cellule retiniche all’elettroretinogramma (ERG) evocato da pattern visivi. È stato trovato che l’ERG, in risposta a lampi di luce, non ha alcuna componente dipendente dall’attività delle cellule gangliari. Infatti, l’ERG da lampo di luce non è influenzato dalla degenerazione retrograda di cellule gangliari a seguito della sezione del nervo ottico. Il “pattern-ERG” invece, in risposta a reticoli di varia frequenza spaziale, è progressivamente deteriorato dalla degenerazione delle cellule gangliari e sparisce completamente solo quando la degenerazione delle cellule gangliari è ben avanzata. Ciò mostra che il “pattern-ERG” deve essere direttamente o indirettamente correlato con l’attività delle cellule gangliari (Science 211, 953-955, 1981). Questi esperimenti eseguiti sul gatto e in seguito sulla scimmia hanno dato gli stessi risultati sull’uomo, Infatti, noi abbiamo trovato che pazienti con lesioni del nervo ottico mostrano un deterioramento, o la sparizione, del “pattern-ERG”. (Investigative Ophthalmology & Visual Science 21: 490-493, 1982 e in “Generator sources of the pattern ERG in man and animals, Alan Liss, New York, 1986). L’ERG da pattern è diventato in molte cliniche neurologiche e oftalmologiche un comune strumento diagnostico.
In molti Paesi, le industrie hanno realizzato, per uso clinico e diagnostico, apparecchi con generatori di stimoli, con annessi strumenti elettronici per la registrazione dell’elettroretinogramma. Nel 1989, il prof. Lamberto Maffei ha cominciato a studiare il ruolo dell’attività elettrica nervosa nello sviluppo del sistema visivo dei mammiferi, in età prenatale e postnatale.
Per la prima volta, in collaborazione con la Dott. L. Galli, egli è stato capace di registrare l’attività elettrica delle singole cellule gangliari della retina del ratto nell’utero (durante la vita embrionale) (Science, 1989; Proceedings of the National Academy of Sciences, U.S.A, 1990).
Queste ricerche, che sono state il punto di partenza per molte altre in parecchi laboratori degli Stati Uniti d’America, hanno dimostrato che durante la vita fetale, prima della comparsa dei fotorecettori, le cellule gangliari hanno un’attività elettrica spontanea, anche se di frequenza assai minore di quella osservata nell’animale adulto. Lo studio della struttura statistica della scarica, ottenuta registrando da più cellule contemporaneamente, ha messo in evidenza che la scarica impulsiva di questi neuroni è altamente correlata (Proceedings of the National Academy of Science, USA, 1990). Questo insieme di risultati ha fatto pensare noi, e molti altri autori, che l’attività nervosa nel feto fosse importante per lo sviluppo delle connessioni nel sistema nervoso.
In molti laboratori in Europa e negli Stati Uniti d’America, si sono aperti filoni di nuove ricerche, intese a studiare il ruolo dell’attività elettrica fetale nello sviluppo delle reti nervose. Lo schema sperimentale comune a tutti questi esperimenti è stato quello di bloccare l’attività elettrica del feto, e principalmente nel sistema visivo, con metodi farmacologici. I nostri risultati, insieme a quelli di altri, convergono nel dimostrare che l’attività nervosa fetale è assolutamente essenziale per 5 un corretto sviluppo delle connessioni sintetiche.
Di poi, Lamberto Maffei, come continuazione delle ricerche precedenti, ha cominciato a studiare, con un folto gruppo di giovani collaboratori della Scuola Normale Superiore di Pisa, il ruolo che, insieme all’attività elettrica, i fattori neurotrofici (NGF, BDNF, NT3 e altre neurotrofine) esercitano sui neuroni nel corso di processi di degenerazione e rigenerazione nel sistema nervoso centrale ed, inoltre, sullo sviluppo e la plasticità del sistema visivo.
Per quanto riguarda l’influenza dei fattori neurotrofici sui processi di degenerazione e rigenerazione, Lamberto Maffei e collaboratori, hanno dimostrato che la somministrazione di fattori neurotrofici previene in parte la morte delle cellule gangliari, dopo sezione del nervo ottico dei mammiferi. Queste ricerche sono state condotte sia a livello elettrofisiologico, sia anatomico (microscopio elettronico), sia della biologia molecolare. Questi studi hanno un diretto interesse per l’applicazione clinica. Per quanto attiene all’influenza dei fattori neurotrofici sullo sviluppo e la plasticità del sistema nervoso, il gruppo diretto dal prof. Lamberto Maffei, è partito da un’ipotesi di lavoro del tutto nuova. Questa assume che nello sviluppo del sistema visivo dei mammiferi le terminazioni degli assoni che hanno origine dai due occhi, e terminano nelle cellule della corteccia binoculare visiva, competono per un nutrimento, il fattore neurotrofico. La produzione e l’assunzione da parte delle terminazioni nervose di questo fattore neurotrofico è regolata dall’attività elettrica. Per provare questa ipotesi è stato fatto un semplice esperimento. È noto che se la visione di un occhio è impedita, per esempio per la chiusura delle palpebre nelle prime settimane di vita di un mammifero, uomo incluso, si sviluppa una patologia che conduce all’ambliopia. L’occhio deprivato della visione diventa man mano più “debole”, fino a che la sua capacità visiva si riduce irreversibilmente.
La spiegazione che usualmente si offre di questo fenomeno è che l’occhio deprivato dalla visione, e quindi meno attivo, perde le sue connessioni funzionali ed anatomiche nella corteccia. Il gruppo di ricerca, diretto da Lamberto Maffei, ha dimostrato (Proceedings of the National Academy of Sciences, 1991; Journal of Neuroscience, 1993 e altre pubblicazioni scientifiche) che la somministrazione del fattore neurotrofico NGF nei ventricoli cerebrali previene del tutto questa patologia ambliopia. L’interpretazione di questo risultato è che la somministrazione del fattore neurotrofico esogeno sostituisce il fattore neurotrofico endogeno, diventato scarso, o mancante per l’inattivita visiva dell’occhio.
In una successiva serie di ricerche il gruppo del prof. Maffei è passato a studiare il ruolo dei fattori neurotrofici nello sviluppo del sistema visivo, producendo una inattivazione del NGF, mediante anticorpi. A tale scopo si è trapiantato nel ventricolo laterale di ratti, ibridomi producenti cronicamente anticorpi monoclonali anti-NGF.
Se si trapiantano questi ibridomi nelle prime settimane di vita, si ottiene un alterato sviluppo del sistema visivo, sia a livello della funzionalità delle cellule corticali, sia, più in generale, della visione: l’acuità visiva di questi animali risulta molto diminuita. Questi studi hanno quindi dimostrato che lo NGF è essenziale per lo sviluppo del sistema visivo. In una pubblicazione sulla plasticità del sistema nervoso, apparsa su Current Opinion in Neurobiology del 1994, queste ricerche vengono giudicate tra le più importanti ed originali di questo campo. Non deve sfuggire che, in prospettiva, esse potrebbero aprire la ricerca e l’applicazione in campo clinico.
Ricerche recenti
Negli ultimi anni le linee di ricerca del Gruppo guidato da Maffei si sono accentrate su due temi principali. Il primo riguarda la degenerazione e la rigenerazione nel sistema nervoso centrale dei mammiferi e il secondo la plasticità e sviluppo del sistema visivo. Le tecniche sperimentali si sono arricchite, includendo le tecniche di biologia molecolare e, in particolare, l’uso dei topi transgenici. Con la prima linea di ricerca è stato dimostrato che in topi che sovraesprimono la proteina bcl-2, e che di conseguenza hanno una forte riduzione dei fenomeni apoptotici, la sezione del nervo ottico non causa la morte, per degenerazione retrograda, delle cellule gangliari retiniche. È stato dimostrato che dopo lungo tempo dalla sezione del nervo ottico (sei mesi), queste cellule mantengono normale la loro risposta agli stimoli visivi (Proceedings of the National Academy of Science (USA), 1996). Inoltre, in collaborazione con l’ICGEB di Trieste, sono stati intrapresi esperimenti, risultati poi di successo, di terapia genica, trasfettando in zone lesionate del sistema nervoso, il gene bcl-2. In particolare, è stato dimostrato che la degenerazione del nucleo genicolato laterale, dopo lesione della corteccia visiva, è prevenuta dalla trasfezione nel nucleo stesso, trasfezione ottenuta per mezzo di virus adenoassociati, trasportanti il gene della proteina bcl-2. Per quanto riguarda il secondo tema di ricerca sulla plasticità, in collaborazione con il Gruppo di ricerca del prof. Tonegawa, del Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston, è stato dimostrato che in topi transgenici che sovraesprimono BDNF, si ha un accelerato sviluppo dei circuiti nervosi inibitori con precoce inizio e chiusura del periodo critico dell’animale. È la prima volta che viene dimostrato che una manipolazione genica può alterare il periodo critico di un mammifero (Cell, 2000).In questa linea di ricerca si è anche approfondito lo studio dei meccanismi molecolari della plasticità, dimostrando il ruolo fondamentale delle MAPkinasi (Science, 2001).
Recentemente è stato dimostrato che intervenendo su strutture della matrice extracellulare del sistema nervoso centrale, come i condroitin solfato proteo glicani, è possibile ripristinare la plasticità nel cervello dell’animale adulto. Questi studi sono di grande importanza dal punto di vista terapeutico e sono una strategia promettente per promuovere quei meccanismi che sono alla base del recupero di danni al sistema nervoso sia centrale che periferico. Questa ricerca ha dato luogo ad una pubblicazione su una rivista di grande prestigio quale Science (Pizzorusso et al., Science, 2002).
Una nuova linea di ricerca del gruppo di Maffei è centrata sugli effetti dell’ambiente sullo sviluppo e plasticità del sistema nervoso centrale. Due recenti lavori hanno dimostrato che l’ambiente arricchito può influenzare lo sviluppo del sistema visivo sia nel ratto che topo. È stato dimostrato che l’allevamento degli animali al buio dalla nascita ma in un ambiente arricchito (gabbia grande, oggetti da esplorare, ruote per l’esercizio motorio, colonie popolate) consente un corretto e funzionale sviluppo della corteccia visiva, chiudendo il periodo critico in tempi paragonabili a quelli di animali allevati alla luce, a differenza di quanto succede per gli animali allevati al buio in condizioni standard (Bartoletti et al., Nature Neuroscience,2004). D’altra parte, l’ambiente arricchito ha dimostrato di influenzare il periodo critico per la plasticità corticale anche in topi allevati in condizioni standard, per i quali il periodo critico si chiude precocemente (Cancedda et al., J. of Neurosci., 2004).
Un esperimento recente ha dimostrato come l’ambiente arricchito abbia una notevole influenza sul 7 sistema visivo anche in età adulta contribuendo al miglioramento degli effetti ambliopici attraverso un meccanismo che coinvolge il sistema inibitorio (Sale et al., Nature Neuroscience, 2007). In uno studio pubblicato dalla prestigiosa rivista Science (Maya Vetencourt et al., 2008), il gruppo del prof. Maffei ha dimostrato che è possibile riaprire il periodo critico del sistema visivo adulto mediante trattamento cronico con fluoxetina, un farmaco ampiamente usato nella cura della malattie psichiatriche. Nell’ultimo periodo, gli studi del prof. Maffei si sono spostati dal modello animale all’uomo, dimostrando che arricchire l’ambiente del neonato con il massaggio (massage therapy) promuove lo sviluppo cerebrale ed in paricolare stimola la maturazione del sistema visivo (Gazzetta et al., 2009, Journal of Neuroscience).
Questi risultati sono promettenti dal punto di vista terapeutico per mettere a punto una strategia non invasiva che avrebbe ricadute per quanto riguarda la prevenzione e la correzione di deficit sia dello sviluppo che dell’età adulta nell’uomo.